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Tribunale Militare

piazzetta Accademia Militare, 3

Giuseppe Basso, Enzo Bellettato, Alberto Botti, Giuseppe Bruzzone, Giuliano Caleffi, Roberto Cicciomessere, Alberto Clerico, Sergio Cremaschi, Aldo Ferrero, Valerio Minnella, Neno Negrini, Alerino Peila, Giovanni Pistoi, Mario Pizzola, Piercarlo Racca, Antonio Riva, Daniele Rizzi, Gianni Rosa, Franco Suriano, Antonio Susini, Gianfranco Truddaiu, Giorgio Viola, Antonio Pio Zanella, Franco Zardoni, Luigi Zecca. L’elenco è tutt’altro che esaustivo. Intende solo evocare la presenza degli obiettori che hanno calcato questo spazio.
Nei giorni del processo l’aula del tribunale militare diventa un crocevia dove si incontrano, e si scontrano, universi differenti e incompatibili. I giudici militari, dietro gli scranni, gli avvocati difensori, il pubblico, composto da curiosi, amici, compagni di militanza o dagli antimilitaristi del Corpo europeo della pace, che avrebbero portato all’esterno l’eco del processo con cortei e volantinaggi. «Qui si sta processando un obiettore di coscienza», recita un cartello posto frequentemente all’ingresso del tribunale per avvisare i passanti. Al centro di questo intreccio si staglia la figura dell’obiettore: nella sala quadrata e spoglia del tribunale va in scena la sfida tra l’istituzione militare e la coscienza di un ragazzo di vent’anni.
Uno dei processi più noti finisce sull’«Espresso», in un reportage di Giuseppe Catalano. Avviene il 23 maggio 1972. A essere ammanettato, «infagottato in una tuta di fatica», in mezzo a un nugolo di carabinieri è un membro della direzione del Partito Radicale: Roberto Cicciomessere. Si è consegnato due mesi prima, a marzo, dopo aver aderito, con altri otto compagni, a un’obiezione collettiva.
Mancano le panche. Il pubblico si assiepa dietro la transenna. I poliziotti all’ingresso registrano i nomi dei presenti. Gli avvocati difensori, Umberto De Luca e Sandro Canestrini, protestano contro la schedatura e chiedono che la loro contestazione sia messa a verbale. «Scriva controlli, non schedature», si altera il pubblico ministero. Alle 9,30 il processo inizia. In una sorta di rituale consolidato, la difesa solleva alcune eccezioni di costituzionalità. Il loro rifiuto è scontato, ma servono a rimarcare gli aspetti arbitrari della giustizia militare. «In queste condizioni parlare di diritto della difesa è ridicolo», grida De Luca, di fronte alla compressione dei tempi degli interventi decisa dal presidente. Anche l’interrogatorio di Cicciomessere è sbrigativo. Il giovane non riesce a esprimere i motivi della sua decisione, né può denunciare le condizioni del carcere militare di Peschiera. Lo avrebbe fatto in seguito, raccontando, in un diario pubblicato sulla stampa, l’umanità derelitta che lo popola e gli abusi subiti.
La sentenza nel complesso è mite: tre mesi e tre giorni di carcere. Anche se rispetto ad anni precedenti le pene sono meno gravose, la spirale delle condanne è ancora intatta. Un obiettore è chiamato alla leva e processato fino a quando non si piega a prestare servizio militare o non viene congedato, per un problema di salute maturato nei mesi di detenzione o, più facilmente, inventato. Solo l’approvazione di una legge avrebbe potuto interrompere questo circolo.

Giuseppe Basso, Enzo Bellettato, Alberto Botti, Giuseppe Bruzzone, Giuliano Caleffi, Roberto Cicciomessere, Alberto Clerico, Sergio Cremaschi, Aldo Ferrero, Valerio Minnella, Neno Negrini, Alerino Peila, Giovanni Pistoi, Mario Pizzola, Piercarlo Racca, Antonio Riva, Daniele Rizzi, Gianni Rosa, Franco Suriano, Antonio Susini, Gianfranco Truddaiu, Giorgio Viola, Antonio Pio Zanella, Franco Zardoni, and Luigi Zecca. All these people faced this Military Court, and it was always a matter of personal conscience as against military orders. When a case came up for trial, the military court-room became a cross-roads where different and incompatible worlds met and clashed: military judges, defense lawyers, and an audience made up of the curious, friends and militants. Some anti-militarists of the European Peace Corps took the echo of the trial to the outside world with marches and leaflets announcing “A conscientious objector is being tried here”.
One of the best known trials ended up being published in the “Espresso” magazine, in a news report by Giuseppe Catalano. It took place on May 23, 1972. A leading member of the Radical Party, Roberto Cicciomessere, appeared, handcuffed, “bundled up in a fatigue suit” and surrounded by a swarm of carabinieri. He had given himself up two months earlier, in March, together with eight other members of the Radical Party.
There were no benches for the audience to sit on. They crowded behind the barrier. Guarding the Military Court entrance, officers registered the names of those present. Cicciomessere’s lawyers, Umberto De Luca and Sandro Canestrini, protested against the filings. «Writes control, not filings» the prosecutor answered. At half past nine the trial began in the form of a sort of ritual: the defense raised some objections, based on the Constitution. Rejected. “In these conditions, talking about the right of defense is ridiculous” shouted De Luca, irritated by the strict time limits imposed by the president. The questioning of Cicciomessere was also hasty. The young man was unable to detail the reasons for his decision, nor could he report on the conditions in the Peschiera military prison, where he had suffered abuse – however, he would do that later on, when his diary was published.
In the end, he spent three months and three days in jail. Even if the sentences were less severe than in previous years, there was no way of breaking into the ritual procedures( and their foregone conclusions). When an objector was called up to bear arms, he was forced to do military service until he developed, or invented, health problems. Italy needed a new law to break this vicious circle.

Intervista

Piercarlo Racca – obiettore di coscienza nel 1969, attivista del Movimento Nonviolento, tra i fondatori del Centro Studi Sereno Regis

Intervista

Giampaolo Zancan – avvocato, difensore di numerosi obiettori

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