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Corso Montevecchio

Corso Montevecchio, 37

Qui possiamo dire di trovarci all’origine di tutto. È il 30 agosto 1949 quando, davanti a questa palazzina di corso Montevecchio, per qualche anno sede del Tribunale militare di Torino, si arresta una cigolante 509. Un giovane scende. Ha le manette ai polsi, due militi gli fanno da scorta. Sorridendo entra nella piccola sala gremita. In mano stringe una Bibbia, si siede, comincia a leggere in silenzio. Nei mesi precedenti il nome di Pietro Pinna era diventato così noto da valicare i confini nazionali. Non è il primo obiettore della storia italiana, ma mai tale scelta era uscita dal chiuso di un tribunale militare. Molti nemmeno conoscevano il significato dell’espressione «obiezione di coscienza». Alla diffusione ha collaborato una piccola, ma pugnace rete di pacifisti, raccolta attorno a Aldo Capitini. «Bastò una breve circolare dattiloscritta, spedita ai più noti operatori per la pace in Italia, a qualche associazione all’estero, a un parlamentare (il deputato Umberto Calosso), a qualche giornale, per rendere noto il fatto, sì che in pochi mesi in Italia divennero popolari il termine e il nome dell’obiettore di coscienza numero 1», avrebbe ricordato lo stesso Capitini qualche anno più tardi.
Il processo sembra ricalcare l’andamento di una tragedia di Sofocle. Nella figura di Pinna risuona il mito di Antigone. In apertura, nel nobile dialogo con il generale Ratti, prende corpo il confronto tra il dovere di difesa di fronte a un’aggressione e la violenza insita nella guerra. Seguono le deposizioni dei testimoni. Umberto Calosso incalza, provocatoriamente, la corte militare sul suo stesso terreno: la storia recente dimostra che sono le nazioni che riconoscono l’obiezione di coscienza quelle che «vincono le guerre». Capitini si sofferma invece sull’altezza morale del principio dell’obiezione, quando è espressione di una coscienza libera.
Nel terzo atto si confrontano il pubblico ministero, che ritiene l’obiezione di coscienza più pericolosa della bomba atomica, e gli avvocati difensori Bruno Segre e Agostino Buda: spetta a loro inventare la linea difensiva appoggiandosi alla Costituzione e alla Dichiarazione universale dei diritti umani per un reato che i codici nemmeno contemplano. L’ultima parola viene lasciata a Pietro Pinna. Nell’aula scende un silenzio assoluto. «Se mi condannate io domani stesso e sempre ripeterò l’obiezione di coscienza. Non voglio la distruzione della legge, ma l’integrazione della legge». Già aveva manifestato la sua disponibilità a sostituire il servizio militare con un impegno nello sminamento dei campi. Alla fine viene condannato a dieci mesi di carcere con la condizionale per disubbidienza continuata.
Chiuso il processo torinese, il giovane è richiamato di leva ad Avellino. Alla seconda obiezione seguirà una nuova condanna. Rimesso in libertà per l’amnistia dell’Anno Santo viene riformato per un’inesistente nevrosi cardiaca. Il suo caso aveva suscitato un’eco troppo vasta e anche le autorità militari volevano liberarsi di lui. Altri obiettori erano pronti tuttavia a raccoglierne il testimone.

This is where it all began. On August 30, 1949, a car stopped in front of the military court of Turin, two soldiers and a young man in handcuffs got out of the car. The young man smiled and entered the small crowded room. Holding a Bible, he sat down and began to read. Silence. In the previous months the name of Pietro Pinna had become famous, in spite of the fact that he was not the first Italian objector. But very few people knew the meaning of the expression “conscientious objection”. “A short circular sent to the most famous peacemakers in Italy, to some foreign associations, to the deputy Umberto Calosso, and to a few newspapers, was all there was. But soon the expression “conscientious objection” became better known by the general public”, as Capitini himself remembered later on.
The trial resembled a tragedy by Sophocles, with Pinna in the role of Antigone. Various witness debated the difference between the duty of defense in case of aggression and the fact that war is inherently violent. Deputy Umberto Calosso pointed out that recent history showed that to win a war a nation had to recognize conscientious objection. Capitini instead focused on the moral principle of objection as an expression of freedom of conscience.
While the public prosecutor clamed that conscientious objection was more dangerous than the atomic bomb, defense lawyers Bruno Segre and Agostino Buda tried to explain that it couldn’t be labelled a crime. Last but not least, Pietro Pinna took the floor. Silence. “Even if you sentence me, I will always object to military service. I do not want to defy the law, but to amend it”. He wanted to replace military service with de-mining operations. In the end he was given a ten months suspended prison sentence for reiterated disobedience.
After that, the young man was called up again for military service in Avellino. His second objection, his second sentence. Released under the Holy Year amnesty, he was finally given an exemption on the grounds that he suffered from a heart defect (not true). Pietro Pinna’s case was eagerly followed by the public and the military authorities wanted to play it down.

Intervista

Bruno Segre – storico avvocato difensore degli obiettori di coscienza, fondatore e direttore, dal 1949 al 2018, del periodico «L’Incontro»

Intervista

Pietro Pinna – tra i primi obiettori di coscienza italiani, storico militante del Movimento Nonviolento

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